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Renè Magritte

Un importante esponente del Surrealismo fu il belga Renè Magritte. Nato a Lessines (Belgio) nel 1898, perse la madre a soli 14 anni, perchè la donna si era suicidata buttandosi nel fiume. Fu ritrovata con la camicia da notte sul volto e l’immagine di persone coperte da un velo ricorrerà in alcuni dipinti dell’artista. Iscrittosi all’Accademia d’Arte a Bruxelles nel 1916, lavorò all’inizio come grafico. Colpito dall’opera di De Chirico “Canto d’amore”, che vediamo a lato, Magritte si convinse che l’arte non doveva rappresentare necessariamente la realtà, ma piuttosto i sogni e le idee. Dopo una breve esperienza prima, cubista, poi futurista e poi astratta, nel 1925 l’artista dipinse il suo primo quadro surrealista e nel 1926 andò in Francia per conoscere Andrè Breton ed entrò a far parte del movimento del Surrealismo in Belgio. Nel 1927 tenne la sua prima mostra personale a Bruxelles. Questa mostra però non ebbe per niente successo e, deluso dai giudizi negativi, si trasferì a Parigi insieme alla moglie Georgette, che aveva sposato nel 1922. Nel 1930 però la galleria d’arte di Bruxelles, con cui Magritte aveva un contratto, chiuse, e l’artista fu costretto a ritornare in Belgio e riprendere il lavoro di grafico, per risollevare le sue finanze. Nel 1940 però Magritte tornò a Parigi per paura dell’occupazione nazista e la sua pittura cambiò bruscamente:  si dedicò infatti a soggetti ingenui ed ironici, forse per sdrammatizzare il clima pesante che c’era, e non venne apprezzato. Questo periodo, durato tra il 1940 ed il 1945, è detto “Periodo felice” o “Periodo Renoir”, per la caratteristica leggerezza dei soggetti che lo aveva accomunato al grande pittore impressionista. Alla fine della seconda guerra mondiale si trasferì definitivamente a Bruxelles. L’artista conobbe il vero successo nel 1965, quando il MoMa di New York gli dedicò una mostra che consacrò la sua arte. Magritte morì però due anni dopo, nel 1967, a Bruxelles.

L’artista non seguì le idee di Freud e quindi le sue opere non sono dettate dall’automatismo psichico. Non gli interessava il mondo dei sogni, ma piuttosto quello della realtà, che però trovava enigmatica e contrastante. Questi contrasti e questi enigmi sono rappresentati dai numerosi trompe l’oeil, dalle associazioni inattese e dall’inganno tra realtà e finzione. Il tema principale è sempre quello dell’illusione: la realtà è veramente come la vediamo? Dall’iniziale professione di grafico derivò la sua capacità di dipingere, con precisione fotografica, soggetti inconfondibili, spesso simili a stencil ripetuti: mele, pipe, nuvole, cappelli. Anche i titoli che Magritte sceglieva per i suoi quadri erano fuorvianti, nel senso che non avevano nulla a che fare con quello che apparentemente si vedeva, in modo che il cervello potesse essere libero di collocare il soggetto dove meglio gli pareva.

Dotato di tecnica impeccabile, al limite dell’iperrealismo, ancora oggi la pittura di Magritte stupisce per la sua difficoltà tecnica. L’artista ci sfida con le sue idee, a dimostrazione del fatto che la realtà è di solito molto più interessante di come appare.

Un celebre quadro di Magritte è “Gli amanti“, che è un olio su tela di 54×73 cm. Di quest’opera esistono due versioni, entrambe del 1928. Quella che vediamo in figura venne donata da un collezionista al MoMa di New York, mentre un’altra, del tutto simile, si trova in Australia.  L’opera raffigura un uomo e una donna, coperti da un velo bianco, che si scambino un bacio appassionato. Dietro c’è uno sfondo grigiastro, che fa pensare al cielo, perchè il palazzo a destra presenta una cornice classicheggiante in alto. Il velo è fonte di luce per tutto il quadro e presenta bellissimi giochi di chiaroscuro, realizzati con grande abilità. Il velo viene usato molto spesso da Magritte perchè è un ricordo del suicidio della madre, che, come già detto, venne ritrovata annegata e con il volto coperto dalla camicia da notte. Anche il rosso dell’abito e del palazzo, secondo alcuni rimanderebbe al sangue, sempre nel ricordo del suicidio. L’immagine a prima vista suscita grande turbamento. Il bacio che si scambiano questi due personaggi è filtrato dal velo, simbolo dunque di incomunicabilità ed anche di morte, se vediamo il velo come un sudario, e quindi è impossibile. Alcuni hanno pensato che l’uomo possa essere il padre di Magritte, che, con il volto coperto dal dolore, dà un ultimo bacio alla moglie già morta. Magritte lasciò aperto il campo a tutte le interpretazioni, che continueranno ad essere innumerevoli, perchè così voleva.

Un altro dei suoi dipinti più famosi è L’uso della parola, realizzato tra il 1928 e il 1929, a cui fecero seguito una serie di altri quadri con lo stesso soggetto. Il dipinto è un olio su tela di 62 x 81 cm ed oggi si trova a Los Angeles nel Los Angeles County Museum of Art. Il dipinto mostra una pipa con una scritta sotto, fatta nella calligrafia tipica dei libri per bambini che cominciano a scrivere, ma al posto della scritta che ci dovrebbe essere, e cioè “pipa”, si legge “questa non è una pipa”. L’artista vuole mettere in evidenza la differenza tra la realtà e la rappresentazione della realtà, perchè, dato che questa pipa non si può fumare, essendo disegnata, non è una vera pipa. L’opera prende dunque di mira una delle convenzione estetiche più consolidate, e cioè quella secondo cui il pregio di un’opera d’arte consisterebbe nel rappresentare nel modo più illusionistico possibile la realtà. Quindi quel disegno non può essere considerato neanche una copia del reale, ma piuttosto una considerazione che si ha della realtà.

Uno dei quadri più stupefacenti di Magritte, e che richiama gli ideali surrealisti è L’impero delle luci, di cui Magritte realizzò almeno 17 versioni. Quella a fianco è del 1954 ed è oggi conservata a Venezia, nel Peggy Guggenheim Museum. E’ un olio su tela di 195 x 142 cm. Fu lo stesso artista a descrivere l’opera: Nell’Impero delle luci ho rappresentato due idee diverse, vale a dire un paesaggio notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia“. In effetti si vede una bella villetta bianca immersa in un buio notturno, illuminata da un lampione. Nella villetta però c’è vita, e lo si vede dalle due luci accese. E’ riconoscibile la strada dove Magritte abitava quando viveva a Bruxelles, rue de Esseghem. In questo paesaggio notturno spicca la luce del giorno della parte superiore della tela, che crea un paesaggio assurdo e nello stesso tempo affascinante. Diceva il pittore: “Quando ho dipinto ’’L’Impero delle luci’’ ho avuto l’idea della notte e del giorno che esistono insieme, come fossero una sola cosa. E’ ragionevole: nel mondo il giorno e la notte esistono nello stesso tempo. Proprio come la tristezza esiste sempre in alcune persone e allo stesso tempo la felicità esiste in altre“. Il dipinto quindi mostra due eventi contrastanti che convivono, generando nonostante tutto serenità e tranquillità.

Vediamo un breve filmato sull’artista qui sotto:


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