Giorgione

Giorgione era il soprannome di Giorgio ( o “Zorzo”, come si diceva in Veneto) da Castelfranco Veneto, nato nella piccola cittadina probabilmente nel 1477. Qualche anno dopo la sua morte venne chiamato “Giorgione” per la sua statura fisica, ma anche per le sue indiscusse qualità morali. La sua figura è avvolta nel mistero: non avendo firmato nessuna opera, ed essendo la sua attività di pittore durata soltanto una decina d’anni, sono sempre in corso dibattiti sulle opere a lui attribuite e studi sui significati, a volte davvero enigmatici, delle stesse. Quel che è certo è che fu tra i padri fondatori della cosiddetta “pittura tonale”, la pittura che caratterizzerà la scena veneziana, nonostante la sua breve attività, dato che morì a Venezia di peste nel 1510. Dopo la sua morte la sua figura divenne leggendaria, ed i meriti a lui attribuiti erano meritati, perchè, pur volendo considerare solo alcune delle opere a lui attribuite, non c’è dubbio che esse abbiano cambiato per sempre la pittura veneta, dandole una svolta verso la modernità. Anche Giorgio Vasari disse che Giorgione era un uomo dalla personalità geniale e di grande fascino, oltre che attento alle mode del tempo.

Già nel 1500 egli non abitava più a Castelfranco Veneto, perchè è stato ritrovato un documento in cui il pittore chiede di non pagare le tasse perchè residente altrove. Egli si era infatti trasferito a Venezia molto piccolo, intorno al 1485, dove era entrato nella bottega di Giovanni Bellini, uno dei più importanti esponenti del Rinascimento italiano. Fu proprio presso questo grande pittore che Giorgione imparò ad usare i colori in modo molto particolare, mescolando i toni e facendo grande uso dello sfumato. Alcuni critici, tra cui Giorgio Vasari, hanno accostato la pittura di Giorgione a quella di Albrecht Durer e soprattutto a quella di Leonardo da Vinci, che era stato a Venezia intorno al 1500. Da Giovanni Bellini Giorgione imparò anche la cura del paesaggio, che pure sarà una delle sue caratteristiche principali. Un’altra delle sue particolarità era quella di non fare disegni preparatori, come dice Vasari, ma di costruire le figure mediante il colore. Dopo l’apprendistato egli tornò a Castelfranco per imparare meglio la tecnica dell’affresco.

Una volta tornato a Venezia, era pronto a soddisfare le richieste degli intellettuali e nobili veneziani, che gli commissionarono opere di tutti i tipi, soprattutto soggetti sacri, ma anche ritratti ed opere a carattere mitologico. L’artista ebbe però due importanti commissioni pubbliche, un teatro per la sala delle udienze del Palazzo Ducale e l’affresco per la facciata del Fondaco dei Tedeschi. Purtroppo tale opera è oggi quasi completamente perduta. Gli agenti atmosferici con il tempo li hanno quasi distrutti e nel XIX secolo sono stati staccati e portati in alcuni musei a Venezia. Vasari aveva visto questi affreschi nel loro splendore e li aveva descritti come “vivacissimi” per il colore e quasi “vivi”, ma non aveva capito cosa significassero. Si pensa che Giorgione abbia ricevuto questa importante commissione perchè era esperto nell’affresco ed era stato allievo di Giovanni Bellini, per cui si pensava a lui come suo successore nel ruolo di pittore ufficiale della Serenissima. L’affresco del Fondaco dei Tedeschi fu terminato nel 1508, e questa possibilità di diventare pittore ufficiale di Venezia non potè aver luogo perchè Giorgione morì due anni dopo.

Moltissime sono le opere attribuite a Giorgione, alcune sono note per essere citate in documenti e lettere ufficiali di Isabella D’Este, Marcantonio Michiel, e ciò dimostra l’importanza che aveva il pittore già al suo tempo, ma in realtà, data la mancanza di firme, sono certamente sue soltanto sei o sette opere. Dall’analisi dei suoi dipinti, che spesso sono di difficile comprensione, si può notare un certo influsso della cultura platonica del tempo. Giorgione è stato un modello anche per i pittori delle epoche successive: la sua “Venere dormiente“, che vediamo nell’immagine a lato, è stata fonte di ispirazione per molti artisti, a partire dal suo allievo Tiziano Vecellio, che la completò dopo la morte prematura del maestro, per finire agli spagnoli Velazquez e Goya ed al francese Manet. Altra sua celeberrima opera è la “Pala di Castelfranco“, realizzata per la cappella gentilizia del nobile Tuzio Costanzo nel Duomo di Castelfranco Veneto. Qui sotto un breve video sulla sua vita:

la tempesta

La sua cura meticolosa del paesaggio è ben visibile in uno dei suoi dipinti più famosi, “La tempesta”. Si tratta di un dipinto realizzato a tempera a uovo e olio di noce di 82×73 cm, databile tra il 1503 e il 1504 e sicuramente realizzato prima del 1505, oggi conservato nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia. In primo piano si vede a destra una donna che allatta un bambino ed a sinistra un soldato che la guarda. Alle loro spalle un paesaggio, con un ruscello al centro. In lontananza un fulmine squarcia il cielo nuvoloso, segno che una tempesta è in arrivo. Questo dipinto era stato commissionato da Gabriele Vendramin ed alla sua morte nel testamento era scritto che la raccolta di dipinti non doveva essere venduta nè divisa. Solo nel 1932 il comune di Venezia acquistò il dipinto dal principe Giovannelli.

Il reale significato del dipinto è ancora oggetto di discussione fra gli storici. Pur essendo infatti la natura una delle protagoniste del dipinto, esso non si può definire solo un paesaggio, perchè le figure in primo piano devono sicuramente avere un significato allegorico. La donna, che sembra una zingara, è seminuda mentre allatta il bambino, mentre l’uomo appoggiato all’asta sembra un soldato. Non vi è alcun dialogo tra loro, che poi sono immersi in un paesaggio in rovina e sono anche divisi da un ruscello. L’attenzione di Giorgione, per quanto riguarda lo stile, non tiene conto dei particolari per concentrarsi sulla resa del paesaggio, che mostra l’evidente influenza della prospettiva aerea di Leonardo da Vinci, che l’artista aveva conosciuto a Venezia anche mediante alcuni suoi allievi (i “leonardeschi”), ma anche della pittura danubiana. Splendida è infatti la resa coloristica del fogliame degli alberi e della resa delle nubi sullo sfondo. Svariati significati sono stati attribuiti alle figure in primo piano, tutte plausibili ma nessuna veramente convincente. Oggi si scarta completamente qualsiasi dualismo uomo-donna, dopo che si è visto radiograficamente che Giorgione aveva dipinto una donna al posto dell’uomo, e poi ci aveva ripensato.

Qualche anno fa lo studioso Sergio Alcamo ha individuato un quarto personaggio seminascosto fra il fogliame ed in piedi sul ponte di legno: un angelo. Il critico ha allora considerato il dipinto da un punto di vista non tanto affrontato, e cioè quello religioso, visto anche che il primo proprietario dell’opera e presunto committente, Gabriele Vendramin, era devoto alla vera Croce ed è risalito ad alcune leggende medievali che parlano del “Bastone di Adamo”: l’uomo sarebbe Adamo, che si appoggia su un bastone realizzato dall’albero della conoscenza del bene e del male, che si trovava nel paradiso terrestre. Tale bastone sarebbe poi il legno della croce di Gesù. La donna sarebbe Eva ed il bambino sarebbe Seth, il terzogenito di Adamo ed Eva, individuato anche dalle due misteriose colonne, dette “dei figli di Seth”, che rappresenterebbero la conoscenza perduta prima del diluvio universale e che gli uomini del Rinascimento cercano affannosamente di recuperare. La leggenda infatti dice che Seth si recò nel paradiso per chiedere l’olio della misericordia per il padre morente e l’angelo che si trovava alla porta lo redarguì dicendogli: “Amico, infila qui la testa e vedrai l’afflizione e il danno che sono nel Paradiso Terrestre a causa di tuo padre. Nessun uccello vi canta né vi fa festa, il sole non vi splende né al mattino né alla sera, l’acqua non sgorga né fa rinverdire l’erba, non ci sono che tenebre e tempesta“. Ciò spiegherebbe dunque il paesaggio senza vita sullo sfondo, che rappresenterebbe dunque il paradiso terrestre dopo la cacciata di Adamo ed Eva. E ciò spiegherebbe anche la presenza di un uccello bianco su un edificio, che è indifferente a ciò che accade intorno ed immobile: potrebbe rappresentare un pellicano, simbolo cristologico di carità e sacrificio.Â