Paul Gauguin e il Cloisonnisme

Paul Gauguin, pittore e scultore francese, nacque a Parigi il 7 giugno 1848. Suo padre era un giornalista repubblicano e dopo il colpo di stato di Napoleone III, dovette lasciare la Francia con tutta la famiglia. Si trasferì a Lima, in Perù, dove vivevano alcuni parenti materni. Il padre morì durante il viaggio. 
Rientrato in Francia nel 1855, dieci anni dopo, ancora giovanissimo, decise di viaggiare per il mondo per più di cinque anni, arruolandosi come allievo pilota, dato il suo scarso successo negli studi. Ritornò a Parigi nel 1871 e vi si stabilì, trovando lavoro come agente di cambio e sposandosi nel 1873 con una donna danese che gli diede ben 5 figli. Fu in questo periodo che iniziò ad interessarsi alla pittura, visitando mostre ed entrando in contatto con gli artisti del tempo, soprattutto i pittori impressionisti, partecipando infatti alla prima mostra del 1874. A Gauguin piaceva questa pittura luminosa, basata sull’uso del colore puro.
Insofferente alle costrizioni della vita borghese, a 35 anni Gauguin venne licenziato e, caduto in ristrettezze economiche, decise di dedicarsi totalmente alla pittura. Si trasferì a Rouen con tutta la famiglia, per farsi aiutare dall’amico Pissarro che lì abitava, ma non riusciva a vendere nessun dipinto: i suoi quadri erano troppo moderni e spesso non venivano compresi. La moglie allora se ne tornò a Copenaghen dalla sua famiglia, dove cominciò a lavorare come insegnante. Paul la seguì in principio, ma poi decise di lasciare la Danimarca. Per cercare di vendere qualche dipinto, decise di partecipare, con ben 18 tele, all’ultima mostra degli Impressionisti del 1886. Sembrò trovare quello che cercava a Pont-Aven, un villaggio della Bretagna immerso nella natura, vivendo assieme ad una numerosa comunità di artisti affascinati dalla cultura ancora arcaica di questi luoghi. Qui, Gauguin elaborò un nuovo stile, ispirato all’arte primitiva. Le sue opere presentavano colori accesi e intensi, che non imitavano le tinte reali ma evocavano stati emotivi: il “Simbolismo”. L’artista stendeva il colore in ampie superfici piatte, circondate da contorni scuri molto marcati, a somiglianza del nero che separava i vari vetri che formavano i disegni delle vetrate gotiche. Poichè questa “separazione” si chiamava “cloisonne”, la tecnica di Gauguin prese il nome di “Cloisonnisme”.

Quando era stato a Parigi, Gauguin aveva fatto la conoscenza di Van Gogh e di suo fratello Theo, che faceva il mercante d’arte. Pressato da Vincent, Theo Van Gogh convinse Gauguin a vivere per un periodo assieme al fratello ad Arles, nel sud della Francia, per fondare il cosiddetto “Studio del Sud”, una comunità di artisti. Gauguin si convinse perchè Theo gli offrì non solo il vitto e l’alloggio, ma anche uno stipendio mensile. La convivenza con Vincent Van Gogh fu difficile fin dall’inizio: non erano d’accordo praticamente su niente, e Gauguin si sentiva il maestro di Vincent, che però non lo considerava tale. La convivenza durò dal 23 ottobre 1888 al 23 dicembre dello stesso anno, quando, per autopunirsi dell’ennesimo litigio, Van Gogh si era tagliato l’orecchio destro.

Il Cristo giallo

Successivamente Gauguin ritornò a Pont Aven e risiedette in Bretagna fino al 1890. Risale al 1889 un dipinto molto famoso, “Il Cristo giallo“, che oggi si trova a Buffalo, alla Albright-Knox Art Gallery. Si tratta di un olio su tela di 92 x 73 cm. Molto probabilmente Gauguin aveva preso ispirazione da un Crocifisso ligneo policromo medievale che si trova nella Cappella di Tremalo a Pont Aven, dove allora risiedeva. Le donne presenti ai piedi della croce sono contadine bretoni, ma altre contadine si scorgono in lontananza, mentre un uomo vestito di nero scavalca la recinzione dove si trova il Cristo, simbolo forse della mediazione tra il sacro e il profano. Il dipinto infatti simboleggia l’esperienza di avvicinamento a Dio. I profili delle donne sono raffinati, in contrasto con l’evidente rozzezza del Cristo, ed è netta la linea di contorno presente dovunque. Ricordiamo che questa tecnica si chiama “Cloisonnisme”: separare le zone da una linea nera, come avveniva per le vetrate gotiche. I colori usati sono quelli primari: il giallo dei campi di grano e del Cristo stesso (pane della vita), il rosso che simboleggia la Passione di Gesù ed il blu degli abiti delle contadine, presenti alla rappresentazione sacra. Il dipinto presenta forti tracce di Simbolismo e antinaturalismo, che Gauguin userà sempre più spesso.

Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo?

Alla ricerca di mondi puri e incontaminati, e scoraggiato perchè il suo lavoro non era apprezzato quanto avrebbe voluto, Gauguin riprese a viaggiare e decise di trasferirsi a Tahiti, dove arrivò il 28 giugno 1891, dopo un viaggio di ben 65 giorni. La sua inquietudine lo spinse però a ritornare in Francia ed anche a Copenaghen, per visitare la famiglia. Insoddisfatto di tutto, ritornò poi a Tahiti.

Fu in questo luogo che realizzò uno dei suoi dipinti più famosi: “Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo?“, realizzato tra il 1897 e il 1898 e conservato oggi al Museum of Fine Arts di Boston. Questo olio su tela di 139,1 x 374,5 cm può essere considerato il testamento spirituale dell’artista. Gauguin si trovava in un periodo particolare della sua vita: aveva la sifilide ed era malato di cuore e in più aveva problemi con le autorità locali. Si sentiva dunque isolato. Per giunta, aveva avuto la notizia della morte della figlia Aline, avvenuta qualche mese prima e veniva da un tentativo di suicidio. Lo stesso artista raccontò in una lettera ad un amico il significato dell’opera, che si legge da destra verso sinistra: «Ai due angoli in alto, dipinti in giallo cromo, reca il titolo a sinistra e la mia firma a destra, come un affresco guasto agli angoli applicato su di un fondo oro. A destra, in basso, un bambino addormentato e tre donne sedute. Due figure vestite di porpora si confidano i propri pensieri. Una grande figura accovacciata, che elude volutamente le leggi della prospettiva, leva il braccio e guarda attonita le due donne che osano pensare al loro destino. Al centro una figura coglie frutti. Due gatti accanto a un fanciullo. Una capra bianca. Un idolo, con le braccia alzate misteriosamente e ritmicamente, sembra additare l’aldilà. Una fanciulla seduta pare ascoltare l’idolo. Infine una vecchia, prossima alla morte, placata e presa dai suoi pensieri, completa la storia, mentre uno strano uccello bianco, che tiene una lucertola con gli artigli, rappresenta la vanità delle parole. Tutto ciò accade lungo un ruscello, sotto gli alberi. In fondo è il mare e le cime dell’isola vicina. Malgrado i diversi motivi di colore, il tono del paesaggio è tutto blu e verde veronese. Su questo fondo tutti i nudi staccano in vivo arancione». Alcuni significati simbolici sono evidenti: il bambino, il ragazzo e le fanciulle e la vecchia alludono alle tre età della vita; gli altri sono spiegati dall’artista stesso. Tutta l’opera è dunque una riflessione sul perchè dell’esistenza umana. Gauguin realizzò questo dipinto come un fregio classico, perchè doveva dare l’impressione di un affresco con gli angoli rovinati, realizzato su una parete d’oro.

Non contento neanche di Tahiti, Gauguin si trasferì alle isole Marchesi. Polemico con le autorità locali e con il clero, per le sue proteste venne condannato a tre mesi di prigione, che non scontò mai. L’8 maggio 1903 venne trovato morto nel suo letto: era ammalato di sifilide. Dopo essere stato seppellito frettolosamente in una tomba senza nome, vennero distrutte tutte le opere che la chiesa ritenne blasfeme ed oscene. Venti anni dopo, la sua tomba fu ritrovata e vi fu apposta una semplice lapide.